#Gocce di Vangelo odierno del 29 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Gv 18, 1– 19,42
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni
Gv 18,1–19,42

Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».
E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.
Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.
Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».
Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».
Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.
Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa.
E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».
Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

«Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!»

Nel Vangelo odierno troviamo la storia di estrema violenza.
La vita, e soprattutto la passione di Cristo, sono la conseguenza del rifiuto del male, costi quel che costi, persino la morte fisica. Gesù rifiuta il male ma accoglie i peccatori, che vuole condurre alla verità, alla libertà, al bene (Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità). Cristo è la giustizia, perché sceglie sempre il bene. Noi nella croce vediamo il trionfo della difesa del bene e della verità. La croce è il segno vivente della vittoria.
Cristo vince quando si consegna alle guardie, quando rimane in silenzio davanti alle domande, quando dice verità che vengono fraintese e usate contro di lui, quando si lascia umiliare anziché costringere gli aguzzini alla verità. Cristo perde agli occhi del mondo perché sceglie la verità, che gli uomini non sanno riconoscere (Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei) ma è una vittoria che trasforma i cuori. Fa di sè stesso la realizzazione di questo cambiamento degli uomini e fa di se stesso la porta aperta sul Padre per coloro che desiderano attraversarla.
Pietro (e noi con lui), quando rinnega la verità, si schiera con il male ed è schiavo della paura. Pilato, quando non ha il coraggio di difendere ciò che ha intuito (Io non trovo in lui colpa alcuna), nei fatti permette il male perché è schiavo della paura (Pilato ebbe ancor più paura). Anche Cristo ha paura ma si fida più della verità del Padre che della sua paura umana e quindi l’attraversa fino alla sua morte. La sua obbedienza al Padre è certamente consapevole e volontaria, sia quando agisce e parla (si consegna alle guardie, chiede da bere, consegna il suo spirito), sia quando non agisce e non parla. Il criterio che lo guida nello scegliere tra agire e non agire è il bene degli uomini, non il bene di sé stesso. E’ una strada faticosa ma l’unica che ci introduce nella pienezza della Vita.
La dimensione della fatica non ci viene risparmiata ma ci viene donato un Sommo Sacerdote che ci ricolma di grazia in cambio del nostro peccato, ci dà vita in cambio di morte e ci accompagna passo dopo passo. Non rendiamo vano il suo sacrificio, non sprechiamo l’amore di cui ci ha reso sovrabbondanti. Camminiamo su questa via di obbedienza al bene, di libertà da noi stessi e di amore per gli altri. Solo con l’amore per questa libertà, possiamo accettare e vivere le obbedienze mediatrici della volontà di Dio. “Questa via dell’obbedienza a Dio non ha nulla, per sé, di mistico e di straordinario, ma è aperta a tutti i battezzati. Essa consiste nel ‘presentare le questioni a Dio’ (cf Es 18, 19). Io posso decidere da solo di fare o non fare un viaggio, un lavoro, una visita, una spesa e poi, una volta deciso, pregare Dio per la buona riuscita della cosa. Ma se nasce in me l’amore dell’obbedienza a Dio, allora farò diversamente: chiederò prima a Dio con il mezzo semplicissimo che tutti abbiamo a disposizione e che è la preghiera, se è sua volontà, qualunque cosa farò, sarà un atto di obbedienza a Dio, e non più una mia libera iniziativa.

#Gocce di Vangelo odierno del 27 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 26,14-25

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

“guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”

Il Vangelo odierno ci presenta tre scene: il tradimento di Giuda, i preparativi per celebrare la Pasqua e la Cena con i Dodici.
Voglio soffermarmi alla Cena Pasquale, dove Gesù Cristo manifesta che il suo corpo sarà donato e il suo sangue versato. Le sue parole: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà” (Mt 26,20) invita ciascuno dei Dodici, e soprattutto Giuda, a un esame di coscienza. Queste parole sono estese a tutti noi, che siamo stati anche chiamati da Gesù. Sono un invito a riflettere sulle nostre azioni, buone o cattive che siano; la nostra dignità; chiediamoci cosa stiamo facendo in questo momento della nostra vita; dove stiamo andando e come abbiamo risposto alla chiamata di Gesù. Dobbiamo risponderci a vicenda con sincerità, umiltà e franchezza.
Ricordiamoci che possiamo nascondere i nostri peccati ad altre persone, ma non possiamo nasconderli a Dio, che vede in segreto. Gesù, vero Dio e uomo, vede e sa tutto. Sa cosa c’è nei nostri cuori e di cosa siamo capaci. Niente è nascosto ai loro occhi. Evitiamo di ingannare noi stessi, ed è solo dopo essere stati sinceri con noi stessi che dovremmo guardare a Cristo e chiedergli “Sono io?” (Mt 26,22).
Gesù, con la Sua Misericordia, ci invita al perdono che guarisce, a lasciarci riconciliare con Dio e a ritornare a Lui per riscoprire noi stessi.
Guardiamo Gesù, ascoltiamo le sue parole e chiediamo la grazia di donarci unendoci al suo sacrificio sulla Croce.

#Gocce di Vangelo odierno del 16 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 7,40-53

In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

«Costui è il Cristo!»

Nel Vangelo odierno Gesù viene presentato come quel “segno di contraddizione” che Simeone aveva annunciato a Maria (cf. Lc 2,34). Gesù non lasciava indifferenti quelli che l’ascoltavano, a tal punto che, in questa occasione come in molte altre «tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui» (Gv 7,43). La risposta delle guardie, che pretendevano arrestare il Signore, centra la questione e ci mostra la forza delle parole di Cristo: «Mai un uomo ha parlato così» (Gv 7,46). E’, come dire: le Sue parole sono differenti; non sono parole vuote piene di superbia e di ipocrisia. Lui è “la Verità” ed il Suo modo di esprimersi dimostra questo fatto.
E, se questo succedeva in relazione ai Suoi ascoltatori, con maggior ragione le sue azioni provocavano molte volte lo stupore, l’ammirazione, ma anche la critica, la mormorazione, l’odio… Gesù parlava il “linguaggio della carità”: le Sue parole e le Sue opere svelavano l’amore profondo che sentiva verso tutti gli uomini, particolarmente verso i più bisognosi.
Oggi, come allora, i cristiani dobbiamo essere “segni di contraddizione”, perché parliamo ed agiamo non come gli altri. Noi, nell’imitare e nel seguire Gesù, dobbiamo usare lo stesso “linguaggio della carità e dell’affetto”, linguaggio necessario per lasciare entrare l’Amore di Dio nel cuore degli altri.

#Gocce di Vangelo odierno del 14 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 5,31-47

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera»

Nel Vangelo odierno Gesù parla della Sua divinità testimoniata da Mosé, da Dio Padre e dalla Scrittura.
Gesù parla a coloro che non lo credono, svelando quali sono i tre impedimenti a cui si aggrappano per riconoscerlo come il Messia Figlio di Dio: la mancanza di amore a Dio; l’assenza di rettitudine di intenzione, cercando solo la gloria umana e la propria interpretazione interessata delle Scritture.
Per riconoscere Gesù Cristo come vero Figlio di Dio, non sono sufficienti le prove esterne che ci vengono proposte; è molto importante la rettitudine nella volontà, la buona disposizione all’ascolto della Parola di Dio e lasciarsi inondare dallo Spirito Santo.
A Gesù si giunge ascoltando lo Spirito del Padre, perché nessuno conosce il Figlio al di fuori del Padre (cf. Mt 11,27). Quindi, è necessario la rivelazione dell’Altissimo. Ma, per accorgliela è indispensabile mettersi in atteggiamento di ascolto. Allora miglioriamo le nostre disposizioni interiori per contemplare il vero volto di Cristo, alla presenza dello Spirito Santo non ti mancherà la luce dell’Amore. E avrai una visione perfetta di chi è Lui: l’Amore per eccellenza.

All’ Itet Marco Polo un 8 marzo di riflessione con una panchina rossa di speranza

Una panchina rossa sulla quale è poggiata una rosa e due scarpe. All’istituto turistici Marco Polo è stato ricordato ‘un giorno particolare’ che non deve essere normale. Un incontro voluto dalla dirigente scolastica Pasqualina Guercia in collaborazione con docenti e la preziosa partecipazione dell’ Associazione Lia Pipitone di Palermo. “L’ 8 marzo non è una festa normale- spiega la dirigente scolastica – e tra i libri e i quaderni dei nostri ragazzi non può mancare la maturazione delle coscienze attraverso la conoscenza di fatti gravissimi come i femminicidi. La scuola deve andare oltre la conoscenza puntando sull’impegno civile. La scuola non può e non deve girare lo sguardo altrove davanti ai fatti orrendi che circondano la nostra realtà . Così come per il bullismo, le devianze giovanili, il fenomeno mafioso, la nostra scuola si pone come base per la formazione di cittadini consapevoli e responsabili. Abbiamo organizzato questo evento invitando due psicologhe  Azzurra Tramonti e Stefania Calà del Centro Antiviolenza Lia Pipitone”. Nella panchina è stata apposta una targa con una frase che hanno partecipato al concorso denominato ‘La bellezza di essere donna’. Un’ apposita commissione ha scelto tra le centinaia inviate dai studenti la frase vincitrice scritta da una ragazza della classe 4°. Ad annunciarlo è stata proprio la dirigente Guercia:  “Abbiamo scelto una frase apparentemente semplice, profonda però nella sua essenza: La libertà è il gioiello più prezioso che indossa una donna ‘

#Gocce di Vangelo odierno del 5 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.  Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

«Il padrone ebbe compassione (…) e gli condonò il debito»

Il Vangelo odierno ci invita a una riflessione sul mistero del perdono.
Noi oggi, come ci comportiamo?
misuriamo e calcoliamo il perdono? Come quel servo! «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Sette volte?» (Mt 18,21). A Pietro sembra che `sette volte´ è già un po’ troppo o che, forse, sia il massimo che possiamo sopportare. Riflettendoci meglio, Pietro si rivela essere ancora più generoso se lo paragoniamo all’uomo della parabola, che, quando incontrò un suo compagno che gli doveva cento danari, «lo prese per il collo e soffocandolo gli diceva: «Restituisci quello che devi» (Mt 18,28), negandosi ad ascoltare la sua supplica ne la promessa di restituzione.
Noi, con la mentalità di oggi, altro che se perdoniamo o riduciamo alla minima espressione il debito! Ma quale perdono! Tribunali in tribunali andrebbe a finire.
Realmente, nessuno pensa che siamo debitori di perdono ricevuto, da Dio, un perdono, infinitamente reiterato e senza limiti. La parabola dice: «Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito» (Mt 18,27). E pensare che il debito era molto importante.
La parabola, però, che stiamo commentando fa risaltare lo stile di Dio, al momento di concedere il perdono. Dopo aver richiamato il suo debitore e di avergli fatto osservare la serietà della situazione, si lasciò improvvisamente intenerire dalla sua richiesta compunta ed umile: «Prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» Il padrone ebbe compassione…» (Mt 18,26-27).
Questo episodio mette in evidenza quello che ognuno di noi dovrebbe sapere per propria esperienza e con profonda riconoscenza, cioè che Dio perdona senza limiti chi si pente e si converte. Il finale negativo e triste della parabola, dopo tutto, fa onore alla giustizia e mette in evidenza la veracità di quell’altra espressione di Gesù in Lc 6,38: « Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

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#Gocce di Vangelo odierno del 2 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

«Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te»

Il Vangelo odierno è la parabola della Misericordia per eccellenza; Dio é Amore e perdono.
Ricevere l’eredità non è un merito. É un dono gratuito. L’eredità dei doni di Dio è distribuita tra tutti gli esseri umani, sia cristiani che non cristiani. Tutti ricevono qualcosa dall’eredità del Padre. Ma non tutti la curano allo stesso modo. Così, il figlio più giovane parte e va lontano e sperpera la sua eredità in una vita dissipata, allontanandosi dal Padre. La necessità di procurarsi il cibo fa sì che il giovane perda la sua libertà e diventi schiavo per occuparsi di porci. Riceve un trattamento peggiore dei porci. La situazione in cui si trova fa sì che il giovane ricordi come si trovava nella casa di suo padre. Fa una revisione di vita e decide di tornare a casa. Prepara perfino le parole che dirà al Padre: “Non merito di essere tuo figlio! Trattami come uno dei tuoi servi”.
Il figlio più giovane era ancora lontano di casa, ma il Padre lo vede, gli corre incontro e la Sua gioia era piena. L’impressione che ci è data da Gesù è che il Padre guardava sempre dalla finestra sperando di vedere spuntare il figlio.
Il Padre non vuole che il figlio sia suo schiavo. Vuole che sia figlio! Questa è la misericordia di Dio che Gesù ci presenta! Tunica nuova, sandali nuovi, anello al dito, vitello, festa! Nell’immensa gioia dell’incontro, Gesù lascia trasparire com’era grande la tristezza del Padre per la perdita del figlio. Dio era molto triste e di questo la gente si rende conto ora, vedendo l’immensa gioia del Padre per l’incontro con il figlio! E’ una gioia condivisa con tutti nella festa che fa preparare.
Il figlio maggiore ritorna dal lavoro nel campo e trova la casa in festa. Non entra. Vuole sapere cosa succede. Quando gli viene detto il motivo della festa, si arrabbia e non vuole entrare, non capisce il perché della gioia del Padre. Segno questo che non aveva molta intimità con il Padre, malgrado vivesse nella stessa casa. Infatti, se l’avesse avuta, avrebbe notato l’immensa tristezza del Padre per la perdita del figlio minore ed avrebbe capito la sua gioia per il ritorno del figlio. Il figlio più giovane, pur essendo lontano da casa, sembrava conoscere il Padre meglio del figlio maggiore che viveva con lui! Perché il più giovane ebbe il coraggio di tornare a casa dal Padre, mentre il maggiore non vuole entrare più in casa del Padre! Non si rende conto che il Padre, senza di lui, perderà la gioia. Poiché anche lui, il figlio maggiore, è figlio così come il minore! risponde: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.” Anche il figlio maggiore vuole festa ed allegria, ma solo con i suoi amici. Non con il fratello e nemmeno con il padre, e non chiama nemmeno fratello, suo fratello minore, bensì “questo tuo figlio”, come se non fosse più suo fratello. E’ la sua malizia che gli fa interpretare così la vita del fratello. Quante volte giudichiamo male la vita del fratello?
Dio accoglie il figlio più giovane, ma non vuole nemmeno perdere il figlio maggiore. I due fanno parte della famiglia. L’uno non può escludere l’altro.
Al termine della parabola, il Padre chiede di essere contenti e di fare festa. La gioia è minacciata dal figlio maggiore, che non vuole entrare. Pensa di aver diritto ad una gioia solo con i suoi amici e non vuole condividere la gioia con tutti i membri della stessa famiglia umana. Rappresenta coloro che si considerano giusti ed osservanti, e pensano di non avere bisogno di conversione.

#Gocce di Vangelo odierno dell’1 marzo – rubrica di Santo Orlando

Gocce dal Vangelo odierno

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21, 33-43.45-46

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

«La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo»

Nel Vangelo odierno Gesù ci parla delle conseguenze all’infedeltà; paragona la vigna a Israele e i viticoltori ai capi del popolo prediletto. A loro e a tutti noi é stato affidato il Regno di Dio, ma attenzione a non sperperare l’eredità: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,43).
Noi abbiamo ricevuto, nella persona di Gesù e nel suo messaggio, un regalo unico che dobbiamo far fruttificare. Non possiamo isolarci spiritualmente; dobbiamo comunicarla e donarla ad ogni persona che ci avvicina. Da lì si deriva che il primo frutto, è che viviamo la nostra fede nel calore della famiglia, rappresentata dalla comunità cristiana. E questo sarà semplice: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Allora viviamo nel santo timor di Dio, non dobbiamo essere timorosi nell’annunciare la salvezza incondizionatamente, non sia mai che ci venga tolto il Regno e venga dato ad altri.